Nel cimitero Monumentale di Bergamo, da domenica 24 aprile 2022, c’è una nuova tomba dedicata ai partigiani bergamaschi. Una tomba destinata ad accogliere le spoglie di chi ha aderito alla Resistenza, di coloro che sono già sepolti nei cimiteri della città, ma dei quali si rischia di perdere la memoria, a causa delle concessioni in scadenza.
L'Amministrazione comunale per poter valutare le annessioni dei Partigiani ha costituto una specifica commissione che si incontra regolarmente di cui fanno parte:
- Giacomo Angeloni – Assessorato sicurezza, protezione civile, innovazione e semplificazione, servizi demografici ed elettorale, servizi cimiteriali
- Luciana Bramati - Presidente dell’ISREC Bergamo
- Andrea Pellegrinelli – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia Bergamo
- Marina Pighizzini – Associazione Partigiani Cristiani Bergamo
- Enrica Mensi – Comitato Bergamasco Antifascista
- Alessandro Carbone – Dirigente servizi al cittadino, servizi cimiteriali
É possibile richiedere l’annessione di un partigiano, già sepolto e con sepoltura in scadenza scrivendo all'indirizzo: ass.innovazionesemplificazione@comune.bergamo.it.
Di seguito le biografie dei partigiani qui sepolti:
Duzioni Norberto
Nasce a Bergamo il 7 giugno 1910, dall’unione di Pietro e Vitalba Lucia. Il padre Pietro, nato nel 1876 a Verdellino, è soldato del 55° Battaglione M. T., muore il 12 settembre 1918 a Brescia per malattia contratta in guerra. Norberto è allievo dell’orfanotrofio maschile di Bergamo nel quartiere di Santa Lucia, “emerse fra i primissimi negli studi” e divenne ragioniere. Nel 1929 viene inaugurata la lapide agli allievi dell’orfanotrofio caduti in guerra, il discorso inaugurale è tenuto dal diciannovenne ex allievo Norberto, uno dei promotori dell’iniziativa di porre un ricordo ai caduti, tra questi è inserito anche il nome di suo padre. Sulla lapide, in seguito, vengono aggiunti i nomi dei caduti nel secondo conflitto tra il 1940 e 1945. Celibe, lavora come impiegato in un’agenzia bancaria a Petosino. Profondamente legato al mondo cattolico, è presidente dell’Azione Cattolica giovanile e un capace organizzatore dell’oratorio dell’Immacolata. Nella primavera 1940 viene richiamato alle armi. Allievo ufficiale di fanteria, Norberto combatte per quasi due anni in Africa settentrionale, prendendo parte alle azioni militari di Bengasi e Tobruk. Viene rimpatriato per un grave attacco di febbri reumatiche. L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo sorprende a Breno in Valcamonica al distaccamento del 78° Fanteria dei Lupi di Toscana per l’addestramento di complementi. Torna a Bergamo dove, con il nome di copertura "Roberti", si attiva immediatamente per costruire una rete tra gli antifascisti che frequentano l’oratorio e i nascenti gruppi antifascisti. Nel maggio 1944 cambia in “Cerri” la sua identità. Assume insieme a Mario Invernici la direzione della Divisione Orobica GL. È protagonista insieme a Pasqualino Carrara del salvataggio del partigiano “Renato” (Fortunato Fasana) gravemente ferito nell’agosto 1944 nel rastrellamento in Val Vertova. Si dimette dall’incarico di comando per ragioni di carattere politico. Il comando provinciale viene assunto da Mario Buttaro "Bassi", che lo mantiene fino alla Liberazione. Il Capitano Duzioni precisa, in una lettera del 15 settembre, che si dimette perché “convinto della indispensabile apoliticità delle formazioni partigiane”, mentre ha l’impressione che tutto il suo lavoro venga sfruttato a vantaggio del Partito d’Azione. Sicuramente nuocciono a "Cerri" le simpatie per alcuni comandanti “cattolici”, così come un certo “attendismo” gli aliena molti consensi. “Sai come mi chiamano – riporta Belotti – i miei patrioti della montagna? Mi chiamano, scherzosamente il pompiere, perché cerco di contenere i loro ardori nei binari della disciplina, perché sono contrario alle azioni impulsive e intempestive senza frutto adeguato per la causa e dannose alle popolazioni locali”. "Cerri" muore in un terribile incidente stradale al laghetto di Algua il 30 settembre, mentre insieme a Mario Buttaro, a Giovanni Zelasco (che morirà il 18 ottobre per le ferite) e a Pasqualino Carrara, si stava recando in val Serina per una visita alle formazioni. Un cippo con annesso crocifisso ricordano il luogo dell’incidente e i nomi dei due caduti. Questo viene inaugurato il 21 ottobre 1945, il prof. Luigi Bruni tiene il discorso commemorativo, don Trussardi celebra la funzione religiosa. Il corpo viene inumato il 4 ottobre 1944 nel Campo E n°1. Il 14 settembre 1962 viene trasferito nelle Catacombe dei Portici Ponente (Campata 12 fila 4 posto 32), vicino alla madre, morta il 5 maggio 1945. La concessione è stata rinnovata il 5 settembre 1985. Il suo nome è presente sulla Stele ai caduti partigiani in Rocca (1946) e sulla lapide dei caduti dell’Oratorio dell’Immacolata. Una via del centro di Bergamo è a lui intitolata il 2 aprile 1947. Il 30 settembre 1951 gli viene dedicata una lapide all’ingresso dell’attuale Imiberg con un suo busto di bronzo, opera di Nino Nespoli. Il discorso celebrativo è tenuto dall’on. Giuseppe Belotti, don Spada celebra la messa di suffragio. La lapide viene sostituita da quella, tuttora visibile, inaugurata il 25 aprile 1955.
Riferimenti bibliografici:
- Giuseppe Belotti, "Norberto Duzioni "Cerri"
- Pietro Raffaelli e Alessandro Zoja, "Ai bergamaschi caduti in guerra"
- Angelo Bendotti, "Banditen".
Pedrali Enzo
Lorenzo Pedrali "Morgan", nato a Ponte San Pietro il 20 agosto 1926, residente a Bergamo in via G.B. Moroni 25, studente, lavora come meccanico nell’officina del padre. Subito dopo l’8 settembre entra nei gruppi armati, prima nella squadra di Giorgio il Canadese, poi nell’86 Brigata Garibaldi comandata da Gastone. Particolarmente attivo, è sua l’azione che porta alla cattura di una spia dell’Ovra. Il 19 ottobre 1944 i militi della Brigata Nera di piazza Brembana scendono in val Taleggio attraverso il passo Baciamorti e operano una puntata su Sottochiesa, dove catturano tre partigiani: gli ex carabinieri Barnaba Rinaldi e Severino Foglio e il tenente Renzo Pedrali. I due carabinieri vennero messi al muro per essere fucilati, ma il Foglio, benchè ferito ad una mano, riuscì a salvarsi, buttandosi giù per la scarpata. Rinaldi venne fucilato, mentre "Morgan" venne trasferito a Bergamo e incarcerato. Sulla sua scheda nell’ufficio patrioti viene segnato che da quella data fino al 27 novembre Renzo si trova nelle carceri di Sant’Agata. In seguito, viene consegnato ai tedeschi, inviato a Vipiteno a lavorare per loro. Fugge (sulla scheda la data della fuga è il 30 gennaio) e si presenta a "Renato", e dopo alcuni giorni entra nella Cacciatori delle Alpi intorno al 12 febbraio. Il 2 marzo 1945, dopo giorni di vana attesa di un aviolancio alleato, la Cacciatori delle Alpi coadiuvata da un reparto della Brigata GL Camozzi organizza l’attacco di Branzi e Carona. I partigiani si dividono in cinque squadre: la prima attacca il podestà fascista di Carona, altre tre si dispongono a monte di Branzi al bivio tra Valleve e Carona per colpire le Brigate Nere di Branzi, l’ultima squadra si spinge verso Isola di Fondra per tagliare le comunicazioni onde evitare l’arrivo dei rinforzi nemici. Per un errore i partigiani rendono vano l’effetto sorpresa predisposto e successivamente si ritirano verso Carona e i laghi Gemelli, tranne il comandante Bartoli e 3 volontari tra cui Renzo Pedrali, Battista Zanga "Tino" e Mosè Piccardi "Spinasa" con l’obiettivo di coprire il rientro dell’ultima squadra di cui non si avevano notizie. Dopo qualche ora di attesa il gruppo smonta, mentre Bartoli va alla centrale per contattare gli altri ribelli, Pedrali, Zanga e Piccardi si spostano in paese per recuperare approvvigionamenti. In quel momento arrivano i rinforzi nazifascisti in alta val Brembana. La 612^ Compagnia OP di Aldo Resmini, in quella circostanza capitanata dal tenente Gino Bolis, giunge in paese. All’osteria del Gallo in un disperato tentativo di fuga viene ucciso "Morgan", anche "Tino" è catturato e, dopo poco, viene fucilato. "Spinasa" viene arrestato con uno stratagemma e portato a Bergamo, torturato, viene fucilato il 5 aprile 1945 durante un rastrellamento a Castel Rampino di Castelli Caleppio. I corpi di Pedrali e Zanga vengono sepolti nel cimitero di Carona. Il 4 giugno 1945 la salma di "Morgan" viene portata nel cimitero di Bergamo, prima nel Campo P numero 38, in seguito nel maggio 1965 viene posto nei colombari dei portici ponente (Campata 19 fila 3 posto 28) accanto al padre Carlo (1896-1957). Il suo nome è presente sulla stele del 1946 in Rocca dedicata ai caduti partigiani della città di Bergamo. "Nella azione del Branzi, dopo un’aspra battaglia, il Pedrali rimase preda della OP e fu passato per le armi sul posto che era stato testimonio del suo valore dal famigerato Bolis, il quale con questo atto sacrilego accresceva a sé l’infamia, donando al giovinetto Enzo, non ancora ventenne, la gloria immortale degli eroi".
Bibliografia:
- "La zia nell’armadio. Cacciatori delle Alpi 2° Dio sciatori. Storia di una brigata partigiana di Giustizia e Libertà" di Mino Bartoli
- "Banditen. Uomini e donne della Resistenza bergamasca" di Angelo Bendotti
- "La Resistenza in valle Brembana e nelle zone limitrofe" di Tarcisio Bottani, Giuseppe Giupponi, Felice Riceputi
- racconto "Una battaglia" in "Uomini e comandanti" di Giulio Questi.
Berera Aldo
Berera Aldo, nato a Premana l’11 agosto 1924 residente a Bergamo in via San Bernardino 5, di professione impiegato, è diplomato in Ragioneria. Il padre Carlo, antifascista, ha un’attività commerciale, che porta avanti con l’aiuto della moglie Gianola Caterina. Hanno cinque figli: Giacomo, Virgilio, Mario, Armando e Aldo, che crescono nell’antifascismo e nell’odio verso la brutalità e la violenza.
L’8 settembre 1943 si trova a Bergamo a lavorare con il padre, in attesa del richiamo alle armi per la Scuola Allievi Ufficiali degli Alpini a Bassano del Grappa. Il padre Carlo, vista la situazione creatasi dopo l’Armistizio, invia i figli Aldo e Mario al paese natale Premana, dove l’11 settembre giunge anche Armando da Roma. La Repubblica Sociale invia le cartoline per la chiamata alle armi il 23 Novembre 1943, Aldo non risponde e diventa così renitente alla leva. Il gruppo di sbandati raccoltisi a Premana passa i mesi autunnali e invernali maturando la passione per la caccia. I tedeschi compiono alcune puntate che non causano gravi danni.
Il 15 febbraio 1944 inizia l’attività partigiana alle dirette dipendenze del genovese Piero Losi, colà sfollato con la moglie, e il tenente degli alpini Battista Todeschini, referente della zona di Premana. L’organizzazione segreta ha il compito di preparare campi per i rifornimenti aviolanciati dagli Alleati ai piani di Artavaggio e sul Muggio, nella conca di Varrone. Inoltre, l’attività consiste nel collegamento con i gruppi esistenti e la formazione di un nuovo gruppo, da armare e rifornire. Durante la primavera e, soprattutto, nell’estate, la Resistenza porta numerosi attacchi alle caserme e ai nazifascisti che presidiano la valle.
Nell’autunno 1944 i nazifascisti si muovono con l’obiettivo di fare terra bruciata e porre fine alla Resistenza nella Valsassina. In alta Valvarrone, sopra Premana, e in val Biandino bruciano numerosi alpeggi (tra cui Casarsa, Forno e Barconcelli), fanno razzia di uomini da spedire al lavoro forzato e terrorizzano la popolazione, distruggendo i beni e requisendo bestiame e viveri. La Resistenza viene colpita duramente, a tal punto che viene deciso il trasferimento in Svizzera della 55° “Rosselli”, che compie un’avventurosa traversata in val Codera fino allo sconfinamento attraverso il passo della Teggiola il 1° Dicembre. Il gruppo che fa riferimento a Todeschini resiste al Baitel de Mongodio, ben nascosto fino alla fine del rastrellamento.
Il 28 dicembre, Aldo e Armando con altri 12 premanesi si consegnano ai fascisti in seguito ad una promessa fatta loro. In primavera, però, vengono traditi e arrestati, portati a Bellano e in carcere a Como. Sette sono rilasciati, Todeschini viene deportato a Mauthausen (dove muore l’11 aprile 1945), Armando rimane a disposizione della Brigata Nera, Aldo e altri 4 sono inviati al Brennero a lavorare. Giunto a Brescia, Aldo si fa ricoverare all’ospedale per scabbia, ritorna a Como e dopo varie peripezie, grazie al fratello Mario, riesce a tornare a Premana. In totale rimane in prigione 47 giorni e ne trascorre 17 in ospedale.
Nei primi giorni del Marzo 1945 si mette in collegamento con Piero Losi, mentre è impegnato nell’opera di ricostruzione della 55° Brigata Garibaldi “Fratelli Rosselli”. Aldo riveste il ruolo di Commissario di guerra del Distaccamento “Ugo Cameroni” formato da 25 uomini premanesi, con cui compie azioni contro i briganti neri, partecipa alle azioni per la Liberazione di Lecco dopo tre giorni di duri combattimenti.
“Ho condotto questi ragazzi per ben 2 mesi, di baita in baita in mezzo ad agguati di ogni sorte. La vita, resa difficile da presidi in tutta la vallata, l’abbiamo difesa a denti stretti.” Bergamo, 12 luglio 1945, da una lettera di Aldo Berera al fratello Virgilio “Viri”.
Si sposa con Ada Zambelli (1930-2020) a Bergamo nel 1959, dalla loro unione nasce Carlo (1961-2023).
Aldo muore il 10 febbraio 1998 e viene sepolto in questo cimitero nel campo G1 (fila 1 posto 22), da cui viene esumato nel settembre 2020. In occasione del 25 aprile 2024 viene annesso alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti bibliografici:
- Il Quarto “Libro nero Ribelli” il diario di Giovanni Battista Todeschini, a cura di Augusto Giuseppe Amanti, Gabriele Fontana, Massimo Lazzari, Wilma Milani, Gian Battista Sanelli
- “Vit de quai sort. Un Paese una Dittatura una Guerra una Resistenza” di Antonio Bellati
- “Valsassinesi internati nel III° Reich” di Augusto Giuseppe Amanti e Angelo Pavoni.
Berera Armando
Berera Armando "Ardo", nato a Premana il 2 novembre 1919, residente a Bergamo in via San Bernardino 5, di professione commerciante. Il padre Carlo, antifascista, ha un’attività commerciale, che porta avanti con l’aiuto della moglie Gianola Caterina. Hanno cinque figli: Giacomo, Virgilio, Mario, Armando e Aldo, che crescono nell’antifascismo e nell’odio verso la brutalità e la violenza
L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo sorprende durante il servizio militare a Roma. Dalla capitale compie un viaggio avventuroso attraverso Reggio Emilia, fino ad arrivare alla residenza di famiglia in Bergamo.
L’11 settembre raggiunge i fratelli Aldo e Mario al paese natale Premana, inviati lì dal padre per proteggerli dalla confusionaria situazione che si stava prefigurando. Il gruppo di sbandati e renitenti, raccoltisi a Premana, passa i mesi autunnali e invernali tra il paese e la montagna maturando la passione per la caccia. I tedeschi compiono alcune puntate che non causano gravi danni. Armando rimane in alta Valsassina fino al febbraio 1944 quando, ottenuti documenti falsi, si sposta a Reggio Emilia a lavorare con il fratello Giacomo.
Dopo alcuni mesi, ritorna a Premana e intorno al 10 Giugno entra nel distaccamento comandato dal tenente degli alpini Battista Todeschini di Premana, facente parte della 55° Brigata Garibaldi “Fratelli Rosselli” comandata dal genovese sfollato Piero Losi, dove già milita il fratello Aldo. Con il nome di battaglia “Ardo” è nominato Capo Squadra nel Luglio 1944, nel settembre diviene Comandante di Distaccamento.
Nell’autunno 1944 i nazifascisti si muovono con l’obiettivo di fare terra bruciata e porre fine alla Resistenza nella Valsassina. In alta Valvarrone, sopra Premana, e in val Biandino bruciano numerosi alpeggi (tra cui Casarsa, Forno e Barconcelli), fanno razzia di uomini da spedire al lavoro forzato e terrorizzano la popolazione, distruggendo i beni e requisendo bestiame e viveri. La Resistenza viene colpita duramente, a tal punto che viene deciso il trasferimento in Svizzera della 55° “Rosselli” che compie un’avventurosa traversata in Val Codera fino allo sconfinamento attraverso il passo della Teggiola il 1° dicembre. Il gruppo che fa riferimento a Todeschini resiste al Baitel de Mongodio, nascosto fino alla fine del rastrellamento.
Il 28 dicembre, Aldo e Armando con altri 12 premanesi si consegnano ai fascisti in seguito ad una promessa fatta loro. In primavera vengono traditi e arrestati, portati a Bellano e in carcere a Como. Sette sono rilasciati, Todeschini viene deportato a Mauthausen (dove muore l’11 aprile 1945), Aldo e altri 4 sono inviati al Brennero a lavorare. Armando, dopo un periodo in cui viene tenuto a disposizione della Brigata Nera, viene spedito anch’egli a lavorare nell’Alto Trentino.
Nel mese di marzo 1945 Armando riesce a rientrare a Premana dove dal 22 Marzo riprende il ruolo di Comandante di Distaccamento di un gruppo (in formazione) sempre in seno alla 55° Brigata Garibaldi “Fratelli Rosselli” in via di ricostruzione. Al momento dell’occupazione la brigata occupa il territorio compreso nel triangolo Premana-Colico-Lecco. Con il suo distaccamento compie azioni contro i brigati neri, partecipa alle azioni insurrezionali, compresa la Liberazione di Lecco dopo tre giorni di duri combattimenti. Sfila a Milano il 6 maggio 1945 alla testa del 4° Battaglione della 55° Brigata Garibaldi “Fratelli Rosselli”. Dopo la sfilata torna a Lecco, dove nell’estate risulta mobilitato in reparti militari.
Si sposa con Maria Compondrini a Bergamo a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta.
Armando muore il 18 marzo 1989 e viene sepolto nel campo M1 (fila 1 posto 302) ed esumato nell’agosto 2021. In occasione del 25 aprile 2024 viene annesso alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti bibliografici:
- Il Quarto “Libro nero Ribelli” Il diario di Giovanni Battista Todeschini, a cura di Augusto Giuseppe Amanti, Gabriele Fontana, Massimo Lazzari, Wilma Milani, Gian Battista Sanelli
- “Vit de quai sort. Un Paese una Dittatura una Guerra una Resistenza” di Antonio Bellati
- “Valsassinesi internati nel III° Reich” di Augusto Giuseppe Amanti e Angelo Pavoni.
Artifoni Bianca Letizia
Bianca Artifoni, classe 1904, è la figlia più giovane della famiglia di Luigi e Elisa Perico: Gioconda, Liduina, Maria, Lia, Bianca e Aldo, che muore durante la Prima guerra mondiale. Legata alla famiglia di Luigi Bruni di cui la sorella Maria era moglie, Bianca dal 1937 vive in via Lusardi (oggi via Borfuro) con la nipote Amalia Bruni.
Ancora in pieno clima fascista e prima dell’occupazione tedesca, organizza insieme ad altre donne l’Associazione femminile per la pace e la libertà, che confluisce dopo l’ottobre 1943 nei Gruppi di Difesa della Donna. Con la nipote Amalia dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 si impegna per la Resistenza. I Gruppi di Difesa della Donna di Bergamo si rendono protagonisti (insieme ad altri gruppi di antifascisti organizzati) di un’azione dimostrativa molto audace e importante: il 4 Novembre 1943 ai piedi della Torre dei Caduti, del monumento di Garibaldi e di altri eroi bergamaschi vengono deposti numerosi fiori per omaggiare i caduti della Prima Guerra Mondiale (4 Novembre 1918) con un preciso sentimento anti-tedesco, quindi antinazista e contro l’occupazione.
“Entrai a far parte organizzata nella Resistenza; quando presi contatto con la Signora Velia Sacchi. I nostri ritrovi erano in casa della professoressa Ballini ove redassi parecchi manifestini che incitavano le donne alla resistenza e all’aiuto ai partigiani. Spesse volte con Velia Sacchi e mia nipote Amalia, andammo ad affiggere i volantini a stampa e a ciclostile lungo le vie della città” cit. Bianca Artifoni.
Quando Frida lascia Bergamo, è proprio la casa di Bianca e Amalia che servirà da luogo d’incontro per organizzare raccolte di fondi per la Resistenza, per la stampa e la distribuzione di materiale clandestino. Bianca lavora come contabile per la società tramviaria della Stei: una risorsa per far correre in mezzo agli altri le parole e le idee delle donne e degli uomini dell’antifascismo. Nel suo ufficio Bianca infatti ha un ciclostile di cui si serve per redigere molti appelli del CLN da diffondere tra la popolazione.
Negli ultimi venti mesi della guerra, Bianca è una donna matura, che ha conosciuto le spinte emancipatrici dei movimenti delle donne, cancellate da vent’anni di regime fascista: la sua età, il suo modo di essere, la rendono una donna autorevole, riconosciuta e amata dalle altre donne se è vero che riesce a convincere non solo tutto il personale (comprese le giovani bigliettaie) della Stei a versare un contributo per il CLN, ma anche a organizzare nei dettagli un sistema di smistamento dei volantini clandestini che poteva contare sul personale dei tram e delle ferrovie delle valli.
Ritenute persone di fiducia, ad Bianca è affidato il compito di portaordini tra CLN e bande partigiane, ad Amalia quello tra CLN e autorità.
Bianca muore il 5 giugno 1974 e viene sepolta nel Cimitero di Bergamo. Estumulata nel 2010, viene inumata nel Campo R2, infine esumata il 13 dicembre 2018. In occasione del 25 Aprile 2025 viene annessa alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti:
- sito Memoria urbana, Scorciatoie, La prospettiva femminile, B.1 “Sui tram”, a cura di ISREC Bergamo
- mostra “È l’idea che fa il coraggio”, a cura di ISREC Bergamo, esposta nell’Ex Carcere di Sant’Agata in occasione del 25 Aprile 2015
- da “Schiere numerose di donne…”, in “Vivere il tempo della grande guerra. Bergamo durante e dopo la Prima Guerra Mondiale”, a cura di Lorenzo Pezzica.
Fotografia tratta dal sito Memoria urbana, Archivio ISREC.
Bolzoni Franco
Franco Bolzoni nasce a Soresina (Cremona) il 9 novembre 1924, da Luigi (Bigin) e Delfina Grazioli. Dal 1937 è residente a Borgounito, via Roma 1. Borgounito è un comune della Valle Cavallina, creato nel 1928 dalla fusione di Berzo San Fermo, Borgo di Terzo, Grone e Vigano San Martino, cessa di esistere nel 1947, al suo posto vengono ricostituiti i comuni preesistenti.
Franco svolge le scuole di avviamento commerciale e ottiene la licenza commerciale. In alcune schede la sua professione risulta essere di impiegato, in altre quella di commerciante.
Già nel luglio 1943, dopo la caduta del Fascismo, indica che ha svolto azioni di propaganda e agito come informatore e organizzatore nella Valle Cavallina.
Entra nella Resistenza nel giugno 1944. Collabora con la Banda Barba (Carabinieri patrioti) ai comandi di Giovanni Rusconi “Barba”, fino all’ottobre 1944. Da quel momento fino al marzo 1945 entra nella Brigata Giustizia e Libertà “Francesco Nullo” con il gruppo di Endine Gaiano, comandato da Angelo Berta “Gelsomino”. Questa Brigata agisce in Val Cavallina ed è costituita da vari gruppi. La vita di questa banda è costellata da catture di patrioti, deportazioni, rastrellamenti e dal frequente avvicendamento di varie persone al comando. Tutto ciò non permette una ricostruzione lineare della sua storia.
Tuttavia, verso la primavera del 1945 la Brigata stabilizza i suoi effettivi al comando di Bruno Zambetti “Bianchi” e di Bruno Picciali “Marcus”. Franco partecipa alle operazioni insurrezionali nella stessa Brigata GL “Francesco Nullo” ma in un altro distaccamento: appartiene infatti al gruppo di Borgounito, comandato da Amabile Micheli.
In tutto il periodo svolge compiti di staffetta, collegamento, propaganda e informazioni. In alcune schede compilate e depositate presso l’Ufficio Patrioti inserisce come testimoni della sua attività il Maggiore Giovanni Rusconi, Dottor Enrico Bottazzi, Salvo Parigi, Pasqualino Carrara, Franco Castelli, Adriano De Vecchi e altri. Con i nomi di battaglia “Franco” e “Bruno”, gli viene riconosciuto il grado di Patriota dalla Commissione regionale per le qualifiche partigiane, con anzianità di 10 mesi e 25 giorni.
Dopo la guerra si trasferisce a Bergamo. Franco muore il 4 maggio 1987 e viene sepolto nel Cimitero di Bergamo, esumato nel 2024. In occasione del 25 Aprile 2025 viene annesso alla tomba dei Partigiani.
Fonti:
- Fondo Ufficio Patrioti (Archivio di Stato Bergamo)
- scheda CVL, Fondo ANPI BG (Archivio ISREC BG)
- schedari: Ufficio Patrioti (Archivio di Stato); ANPI Bergamo; ICAR.
Cassina Camillo
Nasce a Bergamo il 10 giugno 1922, figlio unico di Giuseppe Alessandro e Mersi Maria. Residente a Bergamo, in Città Alta, via Osmano 4. Il padre, pensionato postale, è decorato di Medaglia d’Argento al Valor Civile.
Camillo viene riconosciuto Partigiano combattente della 170° Brigata Garibaldi “Guido Galimberti”. Nelle schede dell’Ufficio Patrioti la data d’ingresso in formazione è quella del 9 ottobre 1943; invece la Commissione Riconoscimento Qualifiche partigiane della regione Lombardia gli riconosce il periodo di 15 mesi e 25 giorni, dal 1° gennaio 1944 al 25 aprile 1945.
Camillo non si sposa e non ha figli: muore il 3 aprile 1977 e viene sepolto nel Cimitero di Bergamo. Estumulato nell’agosto 2010, viene cremato e posto nel deposito. In occasione del 25 Aprile 2025 viene annesso alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti bibliografici:
- schedario Ufficio Patrioti, presso Archivio di Stato BG
- schedario ANPI Bergamo; schedario ICAR.
Gambirasio Ermenegildo
Gildo Gambirasio nasce a Bergamo il 18 febbraio 1919, figlio unico di Abramo e Roveda Angela. Residente a Bergamo in via Borgo Palazzo 24, di professione è impiegato. Sergente dell’Aeronautica prima dell’Armistizio, svolge per 74 mesi il servizio militare in diversi aeroporti come motorista.
Gildo partecipa alla Resistenza. In “Le brigate d’assalto Garibaldi nel bergamasco” viene segnalato come uno degli iniziatori e animatori del primo nucleo della 170° Brigata Garibaldi SAP, insieme a Dante Paci, Luigi Minardi, Pierino Spreafico, Luigi Redondi e Luigi Cerea.
Dal giugno 1944, lo troviamo con il nome di battaglia “Gildo” nella 86° Brigata Garibaldi “Giorgio Issel” in Val Taleggio, guidata da “Gastone”. Gildo ricopre la carica di Comandante del 1° distaccamento intitolato ad Alcide Cristei, partigiano di Segrate, caduto il 16 agosto 1944 sopra Reggetto di Vedeseta. Il distaccamento Cristei in quei mesi si sposta da Peghera a Gerosa, fino a giungere a Sottochiesa. Si registrano le azioni di Brembilla del 26 giugno, a cui segue il rastrellamento del giorno successivo nella zona di Pizzino, e azioni di interruzione della ferrovia Lecco-Maggianico. Durante l’ottobre 1944 la brigata subisce contraccolpi pesanti, a cui si aggiunge il comportamento ambiguo di “Gastone”.
“In seguito al rastrellamento della fine d’Ottobre […] la Brigata fu colta di sorpresa da un numero soverchiante di forze nel paese di Sottochiesa, dove il Reparto di cui facevo parte agli ordini del vice comandante Gambirasio Gildo, tentò una prima difesa” cit. Luciano Minelli, partigiano di guardia sul tratto di strada che dal paese conduce al fondo Valle verso San Giovanni Bianco.
A causa del tradimento del comandante “Gastone”, palesato già durante il rastrellamento sopracitato, la formazione viene scolta definitivamente nel novembre 1944 accettando il patteggiamento con Fritz Langer, comandante delle SS tedesche a Bergamo. In alta valle Brembana rimangono persone slegate, staffette e un gruppo organizzato, guidato da Davide Paganoni “Mario”, che si sposta verso Roncobello, dove riprende l’azione nei primi mesi del 1945 e riorganizza l’86° Brigata Garibaldi.
Gildo Gambirasio insieme ad altri torna nel capoluogo, probabilmente grazie ai salvacondotti forniti dai tedeschi ai membri stessi della Brigata sciolta. In città si attiva e partecipa ai GAP Bergamo (Gruppi di Azione Patriottica), comandati da “Rico” (Emilio Duccoli). Viene riconosciuto Partigiano combattente. Compie azioni di disarmo contro i nazifascisti, azioni di propaganda e partecipa alle operazioni insurrezionali con il resto del gruppo. Il cugino Arduino Galli, del 1920, segue Gildo nello stesso percorso resistenziale, venendo anch’egli riconosciuto Partigiano combattente prima della 86° Garibaldi poi GAP Bergamo.
Nel dopoguerra fa parte della Polizia Ausiliaria di Bergamo come commissario di Pubblica Sicurezza. Gildo sposa Ottavia Cortinovis, senza avere figli. Figura molto nota in città e nell’ambiente industriale, è socio della Mabel S.p.A.
Gildo muore all’Ospedale Maggiore il 25 novembre 1974 dopo lunga malattia, durata 7 anni. Viene sepolto nel Cimitero di Bergamo. Estumulato nel giugno 2010, viene inumata nel Campo R2 (numero 78). La salma esumata il 17 agosto 2018 e ridotta a resti. In occasione del 25 Aprile 2025 viene annessa alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti bibliografici:
- “Le brigate d’assalto Garibaldi nel bergamasco”, 1965
- “La Resistenza in Valle Brembana e nelle zone limitrofe”, di Bottani, Giupponi, Riceputi, 2022
- “Aspetti politici e militari della Resistenza taleggina”, di Maria Grazia Calderoli, 1975-1976
- “Il comandante Gastone. Partigiani in Val Taleggio”, di Cesare Quarenghi, 2021
- “Scampoli. La Resistenza brembana tra spontaneità e organizzazione”, di Gabriele Fontana, 2015
- Fondo Ufficio Patrioti, in Archivio di Stato BG; Scheda CVL, Fondo ANPI BG (Archivio ISREC BG).
Gavazzeni Arturo
Arturo Gavazzeni nasce a Bergamo il 21 dicembre 1888 (1890 in alcune schede) da Alessandro e Sinistri Rosalia. Risiede in centro a Bergamo in via XX Settembre al numero 27. Ha due fratelli, Guido e Angelo, e due sorelle, Matilde e Ines. Quest’ultima è coniugata con Cesare Bonafous, segnalato da Giuseppe Belotti come aderente del Partito Socialista clandestino a Bergamo durante il 1944 (vedi “I Cattolici di Bergamo nella Resistenza, volume II”).
Dopo aver frequentato l’Istituto Tecnico di Bergamo e successivamente la Scuola superiore di commercio di Torino, si specializza in materie economiche e finanziarie. Interventista, è partito volontario per la Prima Guerra Mondiale dove ha combattuto per quattro anni sul fronte come Ufficiale di Artiglieria (Maggiore), per questo periodo viene decorato della Croce di Guerra.
Nel 1920 dopo la guerra, riprende il suo mestiere di ragioniere professionista e apre uno studio per conto proprio in via XX Settembre, n° 27. Non si iscrive al Partito Nazionale Fascista, ma ha la tessera del Sindacato Ragionieri Fascista. Nel 1926 la commissione provinciale fascista segnala Arturo e lo diffida per “aver professato idee socialiste moderate”, viene così inserito tra le “Persone pericolose per la sicurezza nazionale” dalla Questura di Bergamo. Si tratta però di uno sbaglio e il cognome Gavazzeni trae in inganno i poliziotti che scambiano Arturo per Roberto. L’errore grossolano viene riconosciuto presto, ma solo nell’agosto del 1933 Arturo viene escluso definitivamente dall’elenco.
Durante la Resistenza è tra coloro che si adoperano per l’assistenza e l’espatrio di ex prigionieri di guerra con il ramo bergamasco della rete Bacciagaluppi, azione che svolge dal Novembre 1943 al Maggio 1944. I principali referenti della rete sono Mimma e Bruno Quarti, Mario Invernici “Piatti” e Giuseppe Butinar “Joseph”, a cui si aggiungono Paolo Fuschi, Nino Carissimi e Arturo Gavazzeni (“GAVAZZENI ARTURO “O”, various assistence from November 1943 to May 1944”). Questa rete è in stretto collegamento con il gruppo di privati cittadini legati alla figura di Felice Gregis che aveva la sua base a Bergamo nella zona di via Giovan Battista Moroni. “Felice Gregis coadiuvato dalla moglie Kàty, dal ragionier Arturo Gavazzeni ed altri, creò un centro importante di raccolta e ristoro nella sua casa” cit. Alfonso Vajana.
Riveste il grado di Maggiore di complemento di Artiglieria, ma durante la RSI, il 26 giugno 1944, viene esonerato del Servizio dalla Sottocommissione “A” Revisione Quadri Ufficiali del 17° Comando Militare Provinciale, insieme ad altri due Ufficiali superiori: Antonio Fara per la Sanità e Demetrio Casile per la Riserva di Fanteria.
A Gavazzeni viene riconosciuta la qualifica di Patriota dal Comando Divisione Orobica GL, con anzianità dal 15-9-1943, agli ordini di Mario Invernici.
Nel dopoguerra fa parte dell’Associazione Partigiani “Giustizia e Libertà” di Bergamo. Per lunghi anni è Presidente del Collegio Sindacale della Società per Azioni Fonderie Officine Bergamasche “F.O.B.”.
Arturo muore il 3 novembre 1963 e viene sepolto nel Cimitero di Bergamo. Esumato nel settembre 2008, viene ri-inumato nel Campo S1 al posto numero 128. La salma nell’agosto 2022 viene posta nel deposito resti. In occasione del 25 Aprile 2025 viene annesso alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti bibliografici:
- “Bergamo nel "Ventennio" e nella Resistenza. Volume II” di Alfonso Vajana, 1957
- Fondo Sovversivi, in Archivio di Stato Bergamo, ad nomen
- Fondo Bacciagaluppi, in INSMLI Milano, ad nomen
- Scheda CVL, Fondo ANPI BG (Archivio ISREC BG)
- Schedari: Ufficio Patrioti (Archivio di Stato); ANPI Bergamo; ICAR.
Foto proveniente da schedario ANPI Bergamo.
Locatelli Evaristo
Evaristo Locatelli nasce a Gorle il 26 gennaio 1916 da Emilio e Chiappa Giuseppina. Abita a Bergamo in via Tremana 10. Di mestiere fa il fotografo. Caporal Maggior della GaF (Guardia alla Frontiera), svolge il servizio militare con il ruolo di fotofonista per 6 anni di servizio in varie località (Bressanone, Passo di Resia, Males, Brennero, San Candido, Brescia).
Fa parte della formazione autonoma clandestina, comandata dall’architetto Arturo Turani, nota come “Banda Turani”, per la banda recupera armi e munizioni, in collaborazione con altri distribuisce stampa clandestina. Viene arrestato il 19 novembre 1943 insieme a tante e tanti altri ribelli nella retata nazifascista in casa Turani in via Pignolo. Mentre alcune persone vengono rilasciate nei giorni successivi, Evaristo e altri vengono trattenuti perché su di loro gravano accuse più pesanti. Ad esempio, alcune donne rivelano che Locatelli detiene armi nella propria casa e lo denunciano di aver compiuto azioni di propaganda antinazionale con l’affissione notturna di manifesti sovversivi. Nel periodo corrente tra l’arresto e il processo subisce ogni tipo di tortura e angheria nella famigerata sede delle SS tedesche in via Pignolo, ossia il Convitto Baroni (attuale sede dell’Università degli Studi di Bergamo).
“Invece Evaristo Locatelli, asmatico e sofferente di cuore, venne trattenuto per tre giorni in piedi in quel corridoio ed ogni volta che passavano, i militi delle SS gli davano un forte pugno alla nuca facendogli urtare la fronte contro il muro. Quando ciò fu ripetuto per 20-25 volte, il Locatelli cadde a terra esausto, e in quelle condizioni venne interrogato circa la provenienza delle armi di casa sua e circa i nomi della “Turani”: non disse una parola, e pertanto venne preso a calci e colpi di sedia metallica sulla testa.” Cit. Mario Breda arrestato, padre dei partigiani della Turani, Vittorio e Vince.
In seguito, i detenuti sono trasferiti al carcere di Sant’Agata. Il 23 dicembre 1943 il processo del Tribunale militare tedesco contro la Banda Turani dà questi risultati: 3 condanne a morte eseguite mediante fucilazione (Cesare Consonni, Arturo Turani e Giuseppe Sporchia), un condannato a morte (Evaristo Locatelli) con pena commutata in 10 anni di carcere duro da scontare in Germania e tre condannati alla deportazione (Roberto Pontiggia, Umberto Esposito e Ettore Vachà, morto nei lager). La commutazione della pena di Evaristo avviene grazie all’inoltro della domanda di grazia da parte dell’avvocato Corti e del padre Emilio.
Evaristo e altri vengono deportati in Germania, rimangono in carcere a Kaisheim (Baviera) per diciannove mesi, poi vengono liberati dagli eserciti americani durante la vittoriosa avanzata. Riescono a sfuggire al massacro che i tedeschi avevano progettato nei loro confronti. Torna a Bergamo dopo la fine della guerra, intorno al mese di giugno 1945 insieme agli altri prigionieri politici. Viene riconosciuto Partigiano combattente, appartenente alla Banda Turani, con anzianità dal 15 settembre 1943.
Nel dopoguerra fa parte del gruppo di ex-appartenenti alla banda Turani.
Il 18 giugno 1957 Evaristo muore per miocardite nella sua casa e viene sepolto nel Cimitero di Bergamo nel Campo E nel posto numero 148. Dieci anni dopo, nel dicembre 1967, è tumulato vicino ai genitori nelle Gallerie Avansera negli Ossari Minori, Campata Centrale destra, (fila 8 posto 89). Estumulato nel novembre 2020, in occasione del 25 Aprile 2025 viene annesso alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti bibliografici:
- “Bergamo nel "Ventennio" e nella Resistenza. Volume II” di Alfonso Vajana, 1957
- “Banditen. Uomini e donne nella Resistenza bergamasca”, di Angelo Bendotti, 2015
- “Adriano Bernareggi. Diario di guerra (sett. 1943 – maggio 1945)”, a cura di Antonio Pesenti, 2013
- “I cattolici di Bergamo nella Resistenza, Volume I” di Giuseppe Belotti, 1978
- Scheda CVL, Fondo ANPI BG (Archivio ISREC BG); schedari vari.
Foto tratta dal quadro della Banda Turani, Archivio privato.
Questi Alessandro
Sandro nasce a Bergamo il 27 agosto 1912, i suoi genitori sono Attilio e Lena Maria. Ha un fratello Luigi e tre sorelle: Anita, Palmira e Claudia, quest’ultima sposata con Cesare Balzer.
Durante la guerra è residente in via Loreto 39 a Bergamo, successivamente si trasferisce in via Enrico Toti 6. Di professione magazziniere, Sandro sposa Onesta Feltri, con cui ha due figli Luisa e Giampiero. Svolge il servizio militare con il grado di soldato nel 5° Reggimento Alpini per un totale di 40 mesi di servizio in diverse località.
Sin dall’Armistizio dell’8 settembre 1943, Sandro è attivo nella Resistenza. È tra i primi uomini che si uniscono attivamente al Movimento di Giustizia e Libertà a Bergamo. Intorno all’11 settembre alcuni aderenti al Partito d’Azione (Luigi Mondini, Giacomo Paganoni, Giovan Battista Cortinovis, Aldo Traversi e Renato De Vecchi) costituiscono il Primo comitato di Liberazione. Il giorno successivo un gruppo di azionisti (in gran parte operai della Dalmine) effettua a Bergamo un prelevamento di vestiario presso i Magazzini della Gioventù Italiana del Littorio, “per poter facilitare, fornendo abiti civili, la fuga dei soldati italiani degenti presso l’Ospedale Maggiore di Bergamo”. L’azione del 12 settembre viene effettuata da Piero Sottocornola, Nino Carissimi, Gianni Fasciotti, Angelo Nervi, Zaccaria Mazzocchi, Sandro Questi, Bepi Verzeni, Carlo Remuzzi e Italo Pasinetti.
“L’azione ha successo e la distribuzione degli indumenti permette di improvvisare una forma di propaganda; Sandro Questi, un militante giellista, nel consegnare gli abiti ai soldati, sottolineava: “Ricordati che questi vengono dal Partito d’Azione” cit. “Il difficile cammino di giustizia e libertà” p. 41
Risulta essere stato incarcerato per collaborazionismo con i partigiani. Non giura fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana e non presta servizio nelle sue forze armate.
Dalle schede, molto sintetiche, si deduce che viene riconosciuto tra gli effettivi della Brigata GL “24 Maggio”, con la qualifica di Partigiano combattente, dall’8 settembre 1943. Nella scheda del Corpo Volontari della Libertà viene segnata (poi sovrapposta la data di cui sopra) una data di ingresso nella formazione sopracitata intorno al 10 aprile 1945. In quel periodo la brigata è comandata dal dottor Fortunato Fasana “Renato” e stanziata in alta Val Serina, tra Zambla Alta e le pendici del monte Arera.
Il fratello Luigi, di professione incisore, classe 1911, abita a Bergamo in piazza Pontida ed è sposato con Rosa Pezzoli. Anche lui sceglie di agire nella Resistenza con il ruolo di staffetta e collegamento tra uomini e formazioni ribelli, viene riconosciuto Patriota del Comando Divisione Orobica “Giustizia e Libertà” di Bergamo.
Sandro muore il 1° agosto 1975 e viene sepolto nel Cimitero di Bergamo, estumulato nell’agosto 2011, viene cremato. In occasione del 25 Aprile 2025 viene annesso alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti bibliografici:
- “Il difficile cammino della giustizia e della libertà. L'esperienza azionista nella resistenza bergamasca”, di Angelo Bendotti e Giuliana Bertacchi, Il filo di Arianna, 1983
- Testimonianza Piero Sottocornola del 1972 (Carte Lucia Mayer, Archivio ISREC)
- Intervista del 1974 a Giuseppe Verzeni raccolta da Giuliana Bertacchi e Mimmo Boninelli
- Scheda CVL, Fondo ANPI BG (Archivio ISREC BG)
- schedari Ufficio Patrioti (Archivio di Stato); ANPI Bergamo; ICAR. Foto proveniente da schedario ANPI Bergamo.
Schiaffonati Domenico
Domenico Schiaffonati “Zanzur” nasce a Borgonovo Val Tidone (Piacenza) da Giuseppe e Rossi Carolina il 31 maggio 1917, negli anni della guerra è residente a Bergamo.
Prima dell’Armistizio svolge per 24 mesi il servizio milite della Milizia Ordinaria in Libia (ad Homs).
Presta servizio come agente di Polizia Economica presso l’ufficio Provinciale di Vigilanza prezzi a Bergamo. Si trova nei reparti di polizia fascista ad Alzano. Presta giuramento alla Repubblica Sociale per poter continuare l’opera di informatore del CLN di Alzano tramite il Geometra Rossi, azione che svolge dal 1° maggio al 1° luglio 1944. Imputato di attività di stampa e propaganda contro lo stato fascista, riesce ad evitare l’arresto e fuggire, perché qualcuno l’aveva avvertito in tempo.
Col nome di battaglia “Zanzur”, viene riconosciuto Partigiano combattente della 1 Brigata “Diego”, comandata da Piacenza Antonio. Dal 10 luglio 1944 al 28 aprile 1945 opera nel distaccamento Nobilio (Arena), fino ad ottenerne il comando. La brigata opera in Val Tidone e fa parte della Divisione Piacenza “Giustizia e Libertà”, comandata da Cossù Fausto. Nei primi mesi, svolge azioni in pianura per recuperare informazioni, utilizzando dei travestimenti e camuffando la sua identità. Per quanto riguarda le azioni svolte, Domenico compila così la sua scheda: “non sono in grado di dire il numero esatto in quanto, spesse volte, se ne faceva anche più di una in un giorno contro i nazifascisti di transito sulla via Emilia.
”Agente di Pubblica Sicurezza. Nel 1949 gli viene concessa la Croce di guerra al Valor Militare. Dal 25-7-1944 al 28-8-1944 gli viene riconosciuto il grado di Sergente Maggiore, dal 29-8-1944 fino alla Liberazione il grado di Sotto Tenente.
Domenico muore ad Alzano Lombardo il 30 marzo 1968 e viene sepolto nel Cimitero di Bergamo, estumulato nel novembre 2020. In occasione del 25 Aprile 2025 viene annesso alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti bibliografici:
- schedario Ufficio Patrioti (Archivio di Stato)
- Scheda CVL, Ufficio Patrioti (Archivio di Stato)
- Schedario ANPI Bergamo
- Schedario ICAR.
Serantoni Giorgio
Giorgio Serantoni nasce a Imola (Bologna) il 20 dicembre 1910, il padre è N.N. e la madre si chiama Jole Serantoni. Studia a Imola e frequenta il Conservatorio. Si trasferisce negli anni Trenta a Bergamo in via Maglio del Rame 1. Si sposa nel 1937 con Olga Moratti.
Rifiuta di prendere la tessera del partito fascista, forse anche per questo preferisce fare il barbiere, presso Daveri, in via Pignolo. Svolge il servizio militare a Merano nel corpo degli Alpini, l’Armistizio dell’8 settembre 1943 lo coglie a Tarquinia, riesce a tornare a casa. Durante l’occupazione tedesca si trova a Schilpario con la madre, la moglie e il figlio Ildo, anche lì svolge il mestiere di barbiere.
È tra i primi organizzatori della Resistenza nella Val di Scalve insieme a Emilio Fantocci. I due sono legati da una forte amicizia, favorita dalla simpatia di entrambi per il socialismo. La madre di Giorgio ha lavorato per molti anni negli alberghi di Fantocci. Riunioni segrete in casa Fantocci portano nella prima metà di ottobre 1943 in località Santa Elisabetta ad un raduno di uomini decisi a resistere. Il gruppo si sfalda dopo breve tempo.
Nel 1944 nasce una nuova formazione (chiamata C9) e Giorgio stabilisce i contatti con la Valle Camonica. Infatti, nel luglio 1944 in una trattoria di Darfo Boario in Valle Camonica, con una lira tagliata a metà, Giorgio stabilisce un contatto con il generale Luigi Masini (Fiori), comandante delle Fiamme Verdi, che possiede l’altra metà della lira. Diventa Ufficiale di Collegamento.
Nell’estate la brigata compie azioni contro le caserme, disarmi di fascisti e sabotaggi. In seguito, viene stabilito un patto di non aggressione con i tedeschi stanziati in zona, delimitando al ponte del Vò il confine tra le rispettive zone di competenza. Il patto viene rotto e alcune azioni importanti portano a pesanti rastrellamenti che accrescono l’ostilità della popolazione povera nei confronti dei partigiani. A ciò, si aggiungono dissidi che portano il C9 a sciogliersi nell’autunno 1944.
Giorgio è tra i partigiani, civili e membri del CLN Schilpario che durante la notte del 28 aprile 1945 si recano in località Fondi per chiedere la resa a reparti della Tagliamento. Questi sparano e uccidono quasi tutti gli antifascisti, tranne pochi che riescono a fuggire. Durante questo episodio, conosciuto come eccidio dei Fondi di Schilpario, Serantoni viene ferito all’occhio destro e riesce a salvarsi camminando tutta la notte e raggiungendo a stento Villa di Lozio il mattino seguente.
Riconosciuto Partigiano combattente ferito delle Fiamme Verdi Divisione “Tito Speri” nella Brigata “Antonio Lorenzetti”, sottosettore Schilpario-val di Scalve, con anzianità dal 1° ottobre 1943. È membro del Comitato di Liberazione Nazionale di Schilpario e tiene con grande precisione la parte politica amministrativa e la contabilità.
Nel 1953 viene segnalato tra i 5 partigiani bergamaschi, appartenenti alle formazioni Partigiane fuori Provincia, da proporre per la Decorazione al merito dell’Ordine della Repubblica. Attivo nel Partito Socialista Italiano, di cui sarà candidato alle elezioni provinciale, è presente nella Camera del Lavoro. Trova impiego al Comune di Bergamo, dove lavora all’ufficio anagrafe.
Giorgio muore il 20 agosto 1981 e viene sepolto nel Cimitero di Bergamo, estumulato nel giugno 2010. Inumato nel Campo R2 vicino alla moglie Olga Moratti. Nell’agosto 2018 viene esumato e ridotto a resti. In occasione del 25 Aprile 2025 viene annesso alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti bibliografici:
- "Credettero che bastasse venir cantando…", di Angelo Bendotti e Giuliana Bertacchi, 1995
- "Sento ancora il cuculo cantare", di Angelo Bendotti, 2012
- “Un faun ZR nella notte. L'eccidio dei Fondi. Schilpario 28 aprile 1945”, di Angelo Bendotti, 2020.
Foto di Giorgio travestito da prete nella canonica di don Carlo Comensoli a Cividate Camuno, 1944, da Archivio privato.
Stefanoni Angelo
Stefanoni Angelo “Fredo” nasce a Bergamo il 23 Dicembre 1906, abita in Città Alta in via del Vagine 2. Ottiene il grado di sergente, dopo aver svolto per 20 mesi il servizio militare di leva in Artiglieria, come goniometrista tra Brescia e Bergamo.
Dopo l’armistizio del 9 settembre 1943, Stefanoni si collega con amici e altri conoscenti antifascisti di Città Alta. Il gruppo è collegato al capitano Filippo Benassi e, tramite lui, alla Banda Maresana di Adriana Locatelli e al CLN di Milano. Benassi fissa il loro compito: preparare l’assalto alle carceri di Sant’Agata ed al Collegio Baroni per liberare i prigionieri politici sorvegliati dai fascisti repubblicani e dalla SS germanica. Angelo raccoglie armi e munizioni, si interessa per avere a sua disposizione elementi fidati da utilizzare al momento opportuno. Il gruppo ritira il piano planimetrico del collegio Baroni dalla signora Clelia Fioretti Bossi, che si rivela essere una spia.
Il 28 gennaio 1944 alcuni militi fascisti della squadra Resmini irrompono in casa Stefanoni e lo arrestano, dopo una minuziosa perquisizione. A mezzanotte viene portato alla Federazione fascista (attuale Palazzo della Libertà) dove trova altri compagni: per cinque ore sono costretti a stare con la fronte contro il muro e le mani incrociate dietro alla schiena, sotto la minaccia di percosse. Angelo, per primo, alle 6 del mattino viene interrogato, il tutto dura circa un’ora e mezza.
“Si è comportato in modo lodevole […], abbiamo potuto sentire tutto ciò che Stefanoni disse nell’interrogatorio, dato che, esso stesso parlando molto forte, ci ha dato la possibilità di capire come noi ci dovessimo comportare. […] Entrato nello studio ho visto l’amico Stefanoni in uno stato pietoso ed impressionante” cit. Aldo Rossi, partigiano arrestato.
Pesantemente torturato e battuto, Angelo riesce a resistere e non rivelare nomi o indicazioni importanti. Dopo tre giorni, i partigiani catturati vengono portati al carcere di Sant’Agata: “Fredo” in una cella del lato Nord con le finestre che danno su via del Vagine. In tal modo riesce a scambiare qualche parola e messaggio con la moglie e il figlio di sei anni, che raccoglieva i biglietti nascosti nelle scatole dei cerini che venivano lanciati dalla finestra, e così portare alla mamma le comunicazioni.
Il 21 febbraio 1945, dopo 13 mesi di carcere, viene messo in libertà con relativa diffida del comando della SS germanica. Subisce ancora due perquisizioni dalla GNR e, per evitare incidenti, si allontana da Bergamo.
Partecipa all’insurrezione portandosi alle carceri, in seguito si mette a disposizione di Bruno Quarti, nuovo questore, per svolgere attività di polizia e rastrellamento di segnalati. Sfila a Bergamo il 4 maggio 1945 con i partigiani della 170° SAP Garibaldi. Nel maggio 1945 torna al suo lavoro, per poi svolgere il lavoro di ispettore al CLN Provinciale di Bergamo.
Angelo muore il 29 aprile 1978, viene sepolto nel Cimitero di Bergamo ed estumulato nell’agosto 2012. In occasione del 25 Aprile 2025 viene annesso alla tomba dei Partigiani.
Riferimenti bibliografici:
- “Diario di una patriota” di Adriana Locatelli (1946)
- “L'acqua ritorna al mulino” a cura di Bendotti A., Della Torre O. (1995); “L'amico Fritz. Untersturmfùhrer SS Langer Bergamo 1943-1945” di Angelo Bendotti (2021)
- Relazione di Stefanoni Angelo, Fondo Petrolini, Archivio ISREC Bergamo.
Foto proveniente dalla Domanda di ammissione all’ANPI, Fondo ANPI Bergamo, Archivio ISREC Bergamo.